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Duemila Venti. Capitolo 1

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Appunti dal primo lockdown 9 Marzo / 18 Maggio 2020 Le fasi di Milano, l'introspezione, Zoom e la cucina. @codalunga "Lombardia zona rossa. Ohi ti ho chiamato per condividere lo sconforto!😱" "😱😰😱😰😱" "Che colpo. Vuoi salire?" 9 Marzo 2020. Whatsapp is on fire . Corro su per le scale e raggiungo la mia amica Alessia al 5° piano. In un attimo ci raggiunge anche Luana. La fortuna di avere amiche nel palazzo. In tre sul divano ci guardiamo portatrici sane d’ansia. Cosa significa che non posso lasciare la Lombardia? Ma stiamo scherzando? Tutto ad un tratto mi prende quel senso di claustrofobia appena mi trovo o mi figuro in uno spazio chiuso s e n z a v i a d u s c i t a. Anche se non avrei dovuto lasciare la regione, anche se non avevo in programma viaggi oltre il Po’ o oltre confine, l’idea che mi stavano togliendo anche solo la possibilità di poterlo fare mi buttò in uno sconforto profondo. Eppure. Quando il mondo era normale avevo un lavoro che mi

Cuba

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Durante questo viaggio la parola che ho sentito di più in macchina, per strada, sui bus, in spiaggia è stata "entonces".  Credo che intitolerò il mio ricordo cubano così.   Il pensiero che ho avuto più spesso è stato: così devono aver vissuto i miei nonni.   Una sensazione commovente. La sera per strada spiavo dentro alle finestre e vedevo le famiglie davanti alla tv come gli italiani nei documentari “Luce” degli anni ‘50.  A Viñales il contadino che mi ha condotto al cavallo per l’escursione accompagnava   la bici come mio zio, con la mano al centro del manubrio. Ho pensato che forse le persone di campagna si assomigliano tutte, come le famiglie felici - ma questo non l’ho detto io, è una cit. Le città invece lo sono a modo loro, come le famiglie infelici -è   sempre la stessa cit.  Ho amato Trinidad all’inverosimile, me ne sono andata da lì con una grande malinconia. L’Havana è stata davvero diversa da tutto il resto che ho visto, con i suoi odori aggressivi, la sua polvere

Io pedina inconsapevole dell'accoglienza

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Milano Linate, 29 Giugno 2019. Sto per prendere un volo per New York con scalo a Fiumicino. Troppo presto per essere mattina, quindi caffè. Vicino a me due signore commentano la notizia del giorno sullo sbarco della Sea Watch. Non volevo ascoltarle ma erano accanto a me, praticamente in braccio. “Hai letto su fb?” “Cosa?” “Della Sea Watch, della nave con la Capitana che sta facendo sbarcare i migranti contro le leggi”. “Non so dove andremo a finire. Davvero. Ormai poi la gente parla di tutto, ognuno esprime idee e pubblica cose senza collegarsi più alla realtà. Si parla di persone, di vita e di morte come se non fossero veri. Ad amare o ad odiare tutti, non si accoglie o si respinge più davvero nessuno, si parla e basta.”. Ormai non le ascolto più ma raggiungo il gate con il caffè ancora addosso e quelle parole in testa. Ho un lungo viaggio da sola davanti, che altro ho da fare? Mi tengo lo stimolo e ci ragiono, grazie signora, non volevo farmi i fatti suoi ma ormai è andata cos

#Giappone. Una settimana da sola nel sol (levante).

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C'è stato un momento in cui ho rischiato. Rischiato di vedere allontanarsi sempre di più una fase, un'esperienza,  una parte di me lasciata là in Asia, lontano dall'altra parte del mondo. Quindi sono tornata a riprendermela. Dopo un anno e mezzo. Ci sono tornata anche per scrivere una conclusione a quello che ho raccontato qui di tutta questa faccenda e che non ho mai avuto il coraggio di fare. Questa è la storia di come sono tornata a riprendermi la fine di questa storia, senza guide, senza indicazioni ma seguendo solo hashtag su instagram e post su fb.  La storia di come mi sono ritrovata in Giappone guidata solo da me e dai social network. Ritrovarsi in Giappone senza una guida turistica non è stato difficile. Lo spirito d'avventura in Oriente è presto rassicurato dall'organizzazione e dall'efficienza giappo che mi sono provvidenzialmente venute in soccorso. Lo stupore della prima volta, che era stato un climax di adrenalina e scoperta visto ch

Ode all'imprevisto

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Prequel Maggio 2016. Si dice che sia tornata dalla Cina a Gennaio. Ma non è vero. Se c’è una cosa che non imparerò mai è arrivare preparata alle cose. Deve essere qualcosa ormai insito nelle cellule da non accorgermene oppure è una specie di dipendenza. Ecco, sono dipendente dall’impreparazione. La mia storia con l’impreparazione è abbastanza lontana, contando l’età che avanza ahimè mi tocca collocarla proprio con quell’espressione che ho sempre sentito ma non ho mai pensato di usare un giorno e faceva più o meno così: ventanni fa. Ero alle medie e pur essendo una brava studentessa non studiavo mai fino all’ultima pagina. Per principio, non volevo fare tutto ma proprio tutto quello che mi veniva richiesto. Non volevo sapere tutto. E puntualmente quando poi venivo interrogata proprio su quello che consapevolmente avevo saltato sfoggiavo la parlantina più rocambolesca della storia per far tornare tutto al giusto equilibrio e tornare a posto magari con un bell’ otto. E me la

Tokyo Grand Final

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This child of mine si è spinta fino al Giappone. Come una fuchiko (le bamboline arrampicanti giapponesi) si è arrampicata maldestra sul primo aereo ed è volata a Tokyo e quando è tornata mi ha detto:    Tokyo è un posto in cui non vedi l’ora di avere fame e di dire mi scappa la pipì. Sono stata a Tokyo 4 giorni e mezzo. Da sola.Tre ore e quaranta minuti da Pechino, uno sputo in confronto a quanto sarebbe stata lontana da Milano. Non potevo andarmene dall’Asia senza rischiare un “infarto per abuso di LSD”. Si, perché Tokyo mi ha fatto fare un viaggio bellissimo pieno di allucinazioni indimenticabili. Per aiutarmi a riordinare le idee (visto che sono tante) e aiutare voi nella lettura provo a fare un elenco di quello che mi è piaciuto di più e in quel “mi è piaciuto di più” ci metto anche le disavventure che a Martasan non mancano mai (soprattutto quando si muove da sola. Ops.).  1. I MIRACOLI Appena atterrata a Narita il primo inconveniente. No, niente a che vedere con disor

C'è posta per me

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Se questa storia volesse un sottotitolo le regalerei questo:  ricevere una busta dall'Italia e sentirsi come un soldato in guerra.   Questa è la storia di quando una mattina mi sono svegliata e la mia ormai amica A Yi mi ha consegnato una busta bofonchiando qualcosa in cinese. Quattro toni dopo avevo in mano una busta marrone, di quelle morbide che si usano per contenere qualcosa. Potevo sentire le palline di plastica interne scoppiare alla mia presa decisa. Un indirizzo infinito in cinese e uno così famigliare che mi ha fatto immaginare il lungo viaggio che quella busta ha dovuto fare per arrivare a me e solo per me. Sono uscita per un attimo dalla bolla in cui mi trovo qui e mi sono riconnessa con l'Italia in un modo diverso, concreto, tangibile. Non una schermata di Skype, una tastiera, uno schermo, un telefono. Una busta con dentro cose da toccare,vedere, leggere. Una busta che ha fatto un viaggio lunghissimo per portarmi tre cose che a ben guardare sono tre simb