Cuba

Durante questo viaggio la parola che ho sentito di più in macchina, per strada, sui bus, in spiaggia è stata "entonces". 

Credo che intitolerò il mio ricordo cubano così. 


Il pensiero che ho avuto più spesso è stato: così devono aver vissuto i miei nonni.  Una sensazione commovente. La sera per strada spiavo dentro alle finestre e vedevo le famiglie davanti alla tv come gli italiani nei documentari “Luce” degli anni ‘50. A Viñales il contadino che mi ha condotto al cavallo per l’escursione accompagnava  la bici come mio zio, con la mano al centro del manubrio. Ho pensato che forse le persone di campagna si assomigliano tutte, come le famiglie felici - ma questo non l’ho detto io, è una cit. Le città invece lo sono a modo loro, come le famiglie infelici -è  sempre la stessa cit. Ho amato Trinidad all’inverosimile, me ne sono andata da lì con una grande malinconia. L’Havana è stata davvero diversa da tutto il resto che ho visto, con i suoi odori aggressivi, la sua polvere sottile, i gatti e cani randagi. Il Malecon come “L’infinito” di Leopardi, pieno di giovani di città che sognano di andare fuori per il mondo ma che lo immaginano solo all’orizzonte. La campagna, invece, come una zona franca di tranquillità dove le persone ti dicono: “Non so molte cose del mondo, me le dite voi e mi va bene così”.  Giornate  piene di musica, tempi rallentati e viaggi in macchina. Torno con un cuore pieno così, di storie di eroi nazionali e rivoluzionari, di sogni, di lotta, di mutuo aiuto, di vita amara addolcita dalla samba e dal rum, di incontri gentili. Persone che mi hanno fatto sentire a casa, protetta e fortunata.  E ora ho pure la certezza che cmq vada,  ci sarà sempre un chico cubano pronto a farmi ballare fino a mattina. Anche la prossima volta.


#whatelse




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