Duemila Venti. Capitolo 1


Appunti dal primo lockdown

9 Marzo / 18 Maggio 2020

Le fasi di Milano, l'introspezione, Zoom e la cucina.


@codalunga


"Lombardia zona rossa. Ohi ti ho chiamato per condividere lo sconforto!😱"

"😱😰😱😰😱"

"Che colpo. Vuoi salire?"



9 Marzo 2020. Whatsapp is on fire. Corro su per le scale e raggiungo la mia amica Alessia al 5° piano. In un attimo ci raggiunge anche Luana. La fortuna di avere amiche nel palazzo. In tre sul divano ci guardiamo portatrici sane d’ansia. Cosa significa che non posso lasciare la Lombardia? Ma stiamo scherzando? Tutto ad un tratto mi prende quel senso di claustrofobia appena mi trovo o mi figuro in uno spazio chiuso s e n z a v i a d u s c i t a. Anche se non avrei dovuto lasciare la regione, anche se non avevo in programma viaggi oltre il Po’ o oltre confine, l’idea che mi stavano togliendo anche solo la possibilità di poterlo fare mi buttò in uno sconforto profondo.

Eppure.


Quando il mondo era normale avevo un lavoro che mi appassionava, molti amici da vedere, viaggi da fare, un gatto che vedevo solo la sera e un bilocale che mi serviva solo per dormire e ogni tanto mangiare, ma proprio ogni tanto. Ogni giorno mi alzavo e cercavo di riempire la mia vita di cose che mi facevano stare bene facendo di quasi ogni cosa necessità virtù. Amavo viaggiare, per lo più da sola, mi programmavo almeno due viaggi all’anno e più andavo lontano più era gratificante per me. Il giovedì sera, mi ricordo, frequentavo un corso di yoga in uno scantinato a due isolati da casa mia. Mi ritagliavo quel momento della settimana, un’ora e mezza per la precisione, per concentrarmi solo sul mio respiro e mettere i piedi nudi ben piantati a terra, oltre il tappetino. Non è durato molto, come quasi ogni cosa che faccio, ma lo racconto perché la mia maestra di yoga ci diceva sempre alla fine di una posizione più o meno difficile: “Ora che hai finito l’esercizio, fermati, concentrati sul respiro e sul tuo corpo e senti l’effetto che fa”. 


Ecco.


In un attimo questo mondo si stoppa. Basta viaggi, basta consumi, alla vicinanza si sostituisce la distanza sociale. L'altro ti fa un po' paura e un po' senti che devi proteggerlo. Oscilli tra introspezione e tecnologia. Dai social media si passa alla social life. Ma guarda, hai visto? Togli il consumo, rimane la cultura. Ed ecco che, infatti, la resistenza sui social è kulturale. Probabilmente nella Sylicon Valley c'è qualche genietto che sta progettando i social del futuro post apocalittico. Ti immagini? Oltre Black Mirror, oltre la più fervida immaginazione dello sceneggiatore più visionario e diabolico del mondo. Un palinsesto di dirette Instagram che manco Sanremo. È tutto tremendamente e orribilmente assurdo. La natura si rimpossessa dell'ambiente e l'uomo ne è completamente escluso. Il Primo Ministro parla alla Nazione come nelle più belle serie tv distopiche che ci vedevamo sul divano quando "Netflix and Chill". Invece è tutto maledettamente reale. Qualcuno dice che servirà, che andrà tutto bene, altri che è la fine. Bah. Chissà. Nel frattempo i miei zii mandano una foto della capretta Sofia sulle scale di casa loro. Ma allora è vero. La natura si sta prendendo i suoi spazi, e pure i nostri! OMG. Che ne sarà di noi e soprattutto della casa dei miei zii?

Intanto arriva pure il mio compleanno. La mia festa in campagna si trasforma in un'allegra festa su Zoom che finisce con un triste  "end meeting for all"




Auguri. Andrà tutto bene.


Tanti articoli scritti, tante opinioni. Non so quante cosa ho letto e quante whatsappate ho fatto. Disinfetta la spesa, no cazzata non serve, ok allora non la disinfetto più. Ricordo di aver mandato un messaggio alle mie amiche chiedendo se potevo rimettere l'auricolare nell'orecchio dopo che mi era caduto... 

Molta confusione, infodemia cartacea, televisiva, cerebrale. Una Pasqua sul balcone con la mia amica Alessia al quinto piano che ricorderò con molta tenerezza per essere entrata in casa sua senza toccare nemmeno la maniglia della porta. Oggi mi chiedo se quel pranzo è successo davvero. Chissà se abbiamo davvero pranzato insieme, all'aria aperta, sul balcone o se è stato un frutto della surrealtà 2020. Ah no. È proprio vero. Grazie Alessia.


la terza tazzina di caffè era del nostro vicino fotografo che stava facendo un reportage sulla vita sui balconi



Ogni pomeriggio verso le sei mi mettevo sul balcone a leggere o solo lì seduta a guardare i miei nuovi fiori. Quando ero fortunata avevo anche una birretta, se andava male dell'acqua-Brita. Ormai era quasi un appuntamento tanto da conoscere i ritmi quotidiani dei miei vicini e dirimpettai. Vedevo sempre un papà col suo bimbo minuscolo in braccio affacciati alla finestra di fronte, magari non avevano nemmeno un balcone, pensavo, quindi ogni giorno aspettavo un po' anche io quel momento della finestra insieme a quel bimbo minuscolo e  quando li vedevo ero contenta. Nel frattempo il vicino stava sempre al telefono appoggiato alla ringhiera del balcone di fianco e sentivo quasi le sue vertigini. Questi balconi sono troppo bassi prima o poi qualcuno si farà male, ma poi pensavo che ero al quarto piano, forse mi sarei salvata comunque. Al terzo piano del palazzo di fronte c'era una ragazza che ballava tutti giorni, per fortuna non aveva le tende perché almeno potevo invidiarla un po' visto che io non ho il senso del ritmo e mi chiedevo come diavolo facesse a muoversi così veloce. La strada era deserta, c'era il naviglio in secca ma dietro ad ogni finestra, che in quel tempo sospeso avevo tempo di guardare, c’erano vitalità e abitudini che mi facevano compagnia. “Speriamo solo non mi sentano mentre parlo al telefono sul balcone, che da quando ho gli auricolari wireless non sento la mia voce e urlo”. Quando vedevo quanto succedeva guardando solo fuori dalla finestra pensavo che effettivamente quel geniaccio di Hitchcock ci aveva fatto pure un film su questa cosa e in tempi non sospetti. Chissà cosa avrebbe fatto vedere a Jeff dalla finestra in quarantena se fosse ancora operativo. Magari quella ballerina nasconde un segreto e il bambino minuscolo c'entra qualcosa? E perché il mio vicino si sporge così tanto quando telefona...vorrà mica buttarsi?

La sensazione era quella di avere una gamba rotta, ingessata dal piede alla coscia. 




Lo sconforto e la solitudine del primo lockdown chi se li scorda più… eppure ad un tratto quella claustrofobia e angoscia di vivere così lontana dagli amici, dagli affetti e dalla famiglia si è trasformata in uno stato di grazia. Una volta appurato che le persone a cui volevo bene stavano bene, ho iniziato a dimenticarmi del mondo esterno. Come potevo spegnere la tv, potevo spegnere il contatto con il mondo. E quindi, libri, cucina /tanta cucina/, chiacchierate su Zoom con le persone più care e esercizio fisico. Incredibile, sono riuscita pure a dimagrire! I giorni intanto passavano lenti e uguali e iniziavo anche io a spaventarmi di quanto ortodossa fosse stata la mia quarantena e di quanto mi fossi abituata alla solitudine e a me stessa. Ci si abitua davvero a tutto. Come ci si disabitua.

Eppure le mie cellule ricordavano in qualche modo questa esperienza di isolamento e ogni giorno mi facevano venire in mente la me in Cina, all’inizio, quando tutto era così simile. Solo che stavolta potevo capire. 

Tutto era fermo, immobile e solo allora che il mondo vecchio sembrava davvero finito, iniziavo a sentire “l’effetto che fa”. La mia vecchia vita era come sospesa, per altri purtroppo finita e solo allora ho potuto sentirne l’effetto, come diceva la mia maestra di yoga. Ho sentito l’effetto della libertà - quella che avevo e non avevo più. E ho iniziato a scrivere per non dimenticarmi di chi fossi quando sarei tornata libera.


Ed un pochino poi libera mi sono sentita. Quando finalmente le temperature sono salite, il caldo sembrava gestire il virus e le misure hanno iniziato ad allentarsi. Il mio primo grido di libertà l’ho finalmente ululato in Puglia.


-fine prima parte-






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